mercoledì 29 gennaio 2014

Se non ti fidi della diagnosi, come puoi fidarti della ricetta?



(dialogo)
 - "...e' il segno distintivo dei professionisti e dei managers",
 -  .."ma cosa stai dicendo??" 
 - " ma si, dai..., il principio che si manifesta nei tanti momenti della vita professionale dei managers... quello di diagnosticare, prima di prescrivere! e' altamente rischioso, lo so.. e' molto difficile ma.. cerca di capire!! "
 - "beh, si, ho capito, volevi dire che....."
 - nò-o: cerca di capire e' il messaggio  che ti ho trasferito col primo post di questo blog! ricordi?".....

Il concetto "cerca di capire"  che ho espresso nella conversazione col mio amico Rocco, non più tardi di una settimana fa, vale sì (!) per le categorie di professionisti come i medici oppure gli avvocati, ma ritengo sia pertinente anche nelle comunicazioni cosiddette "normali", soprattutto quando abbiamo l'intenzione di vendere qualcosa a qualcuno cioè.... nelle strategie di vendita.
Entrero' nel "funambolico" mondo dei consulenti alla vendita molto presto (per coloro che mi hanno scritto  richiedendomi consigli in tal senso), ma vorrei restare focalizzato sul concetto espresso nel dialogo che ti ho riportato qualche riga fa; metti il caso, per esempio,  che il tuo oculista descrivendogli  il tuo improvviso abbassamento della capacita' di lettura, sorridendo estragga dal cassetto un paio di occhiali e con aria paterna  te li porga come risoluzione immediata al tuo problema: come potresti fidarti della ricetta di costui che ti prescrive l'utilizzo di occhiali senza misurarti la vista, solo perché e' un  professionista ed anche lui li porta?  in tutta onesta' penserebbe che saresti un ingrato a non fidarti! dopotutto ti conosce bene....
Oppure l' avvocato che ti deve difendere e che, senza chiederti nulla e' pronto per affrontare la causa ma non ti ha fatto nemmeno una domanda per capire se e quanto saresti implicato?!!
pensa ad un creatore di prodotti ....potrebbe tralasciare le regole ed i gusti dei consumatori e dedicarsi semplicemente alla creazione dei suoi prodotti, solo perché ritenuti da lui geniali? Un bravo ingegnere potrebbe progettare e costruire senza valutare forze e tensioni? Un bravo insegnante può sottovalutare le caratteristiche della classe prima d'insegnare? Un buon genitore può giudicare  e valutare i figli senza cercare di comprenderli?

"La chiave di un buon giudizio e' la comprensione" come scriveva un grande autore di tecniche manageriali statunitense, ed io approvo pienamente.
Nella comunicazione dobbiamo incominciare da qui: IMPARARE a capire, a diagnosticare.

Ci torna assai più' comodo, pero', agire nei quattro modi seguenti:

  • valutare, ossia, siamo d'accordo o in disaccordo
  • inquisire cioè partendo da come la vediamo noi, subissiamo di domande invadenti
  • consigliare, in sintesi, partendo dalle nostre esperienze, elargiamo i nostri preziosi consigli
  • interpretare, vale a dire come ho scritto nei blog precedenti, partendo dalla nostra autobiografia siamo certi che il comportamento altrui sarà ...come diciamo noi.

Noi non saremo mai in grado di vedere il mondo come lo vede l'altro se non impariamo a capirlo, ad entrare nel suo modo di vedere le cose e di conseguenza a diagnosticare, a sfaccettare tutte le caratteristiche di ciò che ci sta trasmettendo, ad utilizzare il famoso ascolto empatico.

 - "Beh, e' più' facile a dirsi....." penserai! .... ti diro', io ho sperimentato alcuni princìpi  che -  come ormai ben sai -nelle varie letture notturne mi hanno dapprima illuminato ed aiutato a riflettere ma anche stimolato a mettere in pratica le tecniche apprese per osservare quali fossero le reazioni.

In primis, prova ad utilizzare questi metodi e testane l'efficacia:

 - la tecnica dell'ascolto attivo: ascolta le parole del tuo interlocutore e sforzati di ripeterle; dimostri per lo meno di averlo ascoltato attentamente. 
Ma per capire e poi diagnosticare, occorre fare di più'
 -la tecnica dell'ascolto empatico: riformula il contenuto delle parole; stai dicendo a tuo modo, il concetto  che ti hanno appena espresso;  percio' stai usando la parte più' raziocinante del tuo cervello, quella dell'emisfero sinistro
 -la tecnica del sentimento: riformula lo stato d'animo delle parole che ti arrivano; stai utilizzando la parte destra del cervello quella attenta  non tanto al significato delle singole parole ma a come si sente l'interlocutore nell'esprimerle;
 -la tecnica empatico-sentimentale: cioè' l'insieme della seconda e della terza tecnica, pertanto  l'utilizzo dei due emisferi insieme.
Quando utilizzerai la quarta tecnica, ti accorgerai di quanto incredibile sarà la fiducia riposta nei tuoi confronti e di quanto ti sarà  facile  a questo punto diagnosticare perché avrai  dimostrato di aver compreso o per lo meno di averci provato con grande sincerità'.

Se devo riassumere in una sola frase cio' che ho imparato nelle relazioni interpersonali nella mia carriera manageriale e' sicuramente " prima di farti capire, cerca di capire!"

alla prossima
a.

"Uno sciocco può' parlare, ma solo un uomo saggio sa comunicare" BEN JONSON




martedì 21 gennaio 2014

Osservo l'interpretazione o interpreto l'osservazione?

A volte durante gli incontri di formazione mi sono trovato  a  riflettere ed a far riflettere  sulle  credenze di chi pensa, con convinzione assoluta, che i comportamenti, gli atteggiamenti, i modi di esprimersi  delle persone ci portino automaticamente a clusterizzarle  con certezza e ad individuare di quale tipo o "specie umana " fanno parte, rischiando , a mio avviso di tradire  del tutto o in parte la realtà' che li circonda, semplicemente interpretandola.
Specialmente nella vendita, il tranello nel quale il venditore mediocre ancora oggi cade e' rappresentato dalla sua interpretazione dei comportamenti , addirittura dall'abbigliamento che il cliente indossa stabilendo frettolosamente  di quale tipologia sociale appartiene e di conseguenza come approcciarlo e spesso a ignorarlo. Ma stando alla mera interpretazione dei fatti, restando in tema di comunicazione per fornirti anche con questo post uno strumento reale, occorre stabilire una semplice ma importante differenza che riguarda il nostro modo di comunicare, cioe' la distinzione tra:

  •  le affermazioni di fatti 
  •  le affermazioni di inferenza ( come dire....trarre  le conclusioni) 
Nelle affermazioni di fatti ci limitiamo a dare la descrizione di quanto abbiamo osservato o ascoltato e sono limitate al numero; in quelle di inferenza, invece illimitate, andiamo al di la' di cio' abbiamo ascoltato ed osservato e potremo farle in ogni momento.

Voglio essere più' chiaro; osservando la foto  potremmo affermare che l'attore (?)...( appero'! ):

 - porta la mano sinistra sugli occhi
 - sullo sfondo c'e' un orologio
 - appaiono solo quattro dita

Semplicemente queste, e poche altre, sono affermazioni di fatti e come vedete, numericamente sono limitate; le affermazioni di inferenza invece potrebbero essere:

 - e' stanco
 - ha mal di testa
 - e' malinconico
 - massaggia gli occhi
 - si sta concentrando perche' e' di fronte ad una terribile traduzione in lingua inglese
 - non si e' accorto del tempo passato ( per forza l'orologio e' alle spalle!)
 - ...gli e' capitato qualcosa di brutto, ha una smorfia di pianto
 - non vuole farsi vedere in foto, ..sai la privacy...
 - da quanto non fa la barba?

Potrebbe  essere  che una di queste affermazioni sia reale , ma quale sara'?
E' evidente che fare  inferenze e' molto frequente poiché non siamo sempre a conoscenza del nostro interlocutore  e della sua sfera affettiva o non siamo in grado di poterle osservare, percio' sono inferenze le affermazioni degli stati d'animo espressi da chi non li prova.

Per non cadere nella trappola di fare inferenze e' necessario utilizzare lo strumento - ancora una volta, renditi conto della superpotenza della domanda: "come lo so? come posso pensare che sia proprio come dico? ", così grazie a questa riflessione  ci rendiamo conto se  se stiamo utilizzando la proiezione di noi stessi ed abbiamo attribuito agli altri cio' che proviamo insieme  ai nostri sentimenti  che sono  e rimangono solo nostri e che potrebbero avere mille altre motivazioni, oltre a quelle che abbiamo pensato.
E non tralasciamo anche le inferenze che riguardano le previsioni del futuro: "domani sicuramente ti pentirai di cio' che hai fatto!"; " se continua così...se ne accorgerà'..."!

Non demonizzerei del tutto l'inferenza se nella nostra comunicazione volessimo inserire gli elementi di influenzamento reciproco ma un'inferenza non verificata potrebbe pericolosamente compromettere le relazioni ed innescare comportamenti che potrebbero portare a distorcere la percezione fino al punto che i nostri punti di vista diventano praticamente solo negativi.

"Giudica un uomo dalle sue domande, piuttosto che dalle sue risposte" VOLTAIRE

giovedì 16 gennaio 2014

il controllo del manager illuso

In una delle mie svariate letture notturne (che mi rapiscono fino a fare le ore piccole quando trovo gli argomenti che mi intrippano!)  mi sono piacevolmente imbattuto in un approfondimento che studia ed argomenta i comportamenti, le azioni e di conseguenza  le reazioni all'interno delle aziende, affrontando il  concetto di azione manageriale che io stesso, spesso, ho avuto  modo di notare nelle mie esperienze lavorative a contatto con alcuni manager per i quali ho lavorato; ma  riconosco che l'atteggiamento che sto per raccontare e' comune ad una serie di caratteristiche comportamentali di parecchi di noi, anche nella vita quotidiana. Mi fa specie pero' che ancora oggi alcuni manager si trovino di fronte all'ottusità' che questo comportamento provoca nei risultai non solo di team working ma di conseguenza nel  mancato o imperfetto raggiungimento degli obiettivi professionali.
Riporto un episodio raccontato da un bravo coach statunitense che ti fara' capire immediatamente di cosa parlo:

"... quando quando ero piccolo, i miei genitori mi dicevano cosa fare, e mi sgridavano se disobbedivo. A scuola, i miei insegnanti mi dicevano cosa fare e mi punivano se non lo facevo. Quando ho fatto il servizio militare, il sergente mi diceva cosa fare e se non eseguivo erano dolori, quindi ho eseguito! Anche quando ho trovato il mio primo lavoro, il mio capo mi diceva cosa fare. Percio' quando ho raggiunto una posizione con una certa autorità' sapete cos'ho fatto? ho cominciato a dire alle persone cosa fare, perché' così avevano fatto i miei modelli!"

Questo capita o e' capitato alla maggior parte di noi: siamo stati cresciuti sentendoci dire cosa fare e siamo diventati molto bravi a riprodurre questo comportamento. Cio' che ci attrae  e' sicuramente avere o dimostrare di avere il controllo, a volte anche se solo a noi "stessi!
Questo e' l'atteggiamento che spesso, applicato "nudo e crudo" crea nei managers la convinzione di avere tutto sotto controllo e di aver conquistato ed esercitato la leadership con cognizione di causa.
Chi si limita a dire cosa fare non fa altro che infastidire e di conseguenza  demotivare il team che reagirà senza osare di dimostrarlo e senza dare un qualsiasi  riscontro, tanto non verrebbe ascoltato.
Di fronte al manager tutti si dimostrerebbero servili, i cosiddetti "yes men" salvo poi, pieni di risentimento, reagire fornendo prestazioni scadenti, interrompendo il lavoro ed in alcuni casi , sabotandolo, non appena il manager volta le spalle.
Siamo  ben lontani dalla leadership e dal controllo che il manager illuso crede di possedere!

Ma lo spiraglio per la via d'uscita c'e', lo strumento per gestire la situazione e per dire cosa fare nel modo giusto e credibile sta nel lavorare sulla memoria delle persone che ci ascoltano, il segreto sta nel non limitarci a dire solo parole ma muovendo le  intenzioni delle future azioni attraverso altri strumenti: e lo conferma una ricerca portata avanti da alcuni studiosi che hanno sperimentato un modello con notevole successo: in pratica hanno creato un gruppo di persone suddividendolo senza criterio in diversi sottogruppi, a ciascuno dei quali e' stato insegnato qualcosa di molto semplice, la stessa cosa per tutti, ma utilizzando tre approcci diversi.
Il risultato ottenuto e' stato veramente significativo quando sono stati  usati esempi o dimostrazioni; la memoria ha mosso reazioni eclatanti, raccolte nella seguente tabella

                                               detto         detto e mostrato          detto, mostrato e sperimentato

memoria dopo 3 settimane     70%                  72%                                      85%

memoria dopo 3 mesi             10%                  32%                                      65%

Pazzesco, no?
Pensa che la tabella mostrata durante la formazione ad alcuni insegnanti di paracadutismo, ha innescato una  preoccupazione tale da generare una modifica immediata  al loro metodo d'insegnamento di caduta libera.......

" L'azione più' motivante che una persona può' fare per un'altra e' ascoltarla" R. MOODY

martedì 14 gennaio 2014

CHI SONO, IL MIO OBIETTIVO, COSA FARO'

Mi presento: il mio nome e' Alberto e sono nato e cresciuto nella bellissima ed antichissima citta' di Pavia, ai piedi delle stupende colline dell'Oltrepo' Pavese attraversata del mitico fiume Ticino, salutata dal possente fiume Po.

Sono sempre stato attratto da tutto cio' che riguarda la crescita personale e professionale,la creazione della  motivazione per qualsiasi azione intrapresa,ed alla comunicazione in ogni suo aspetto e caratteristica; percio' un po' per passione personale,per divertimento ed un po' per affinità  professionale, ho cominciato ad occupare il mio tempo libero alla lettura di tutto cio' che mi capitava sott'occhio che parlasse di programmi di PNL e di coaching.

A poco a poco sono andato alla ricerca di tutto cio'  che potesse darmi notizie e contenuti, recandomi davvero a "saccheggiare"  praticamente le librerie più' rifornite  di tali argomenti ed a rintracciare nel web tutto cio' che potesse fornirmi notizie, letture, video, blog  che potessero arricchire la mia insaziabile fame di nuove tecniche e studi  dello sviluppo comportamentale e della crescita.

Per fortuna le mie esperienze professionali compresa l'attuale occupazione, mi hanno consentito di sperimentare parecchie situazioni che se da un lato mi hanno motivato al confronto con gli altri e con me stesso, dall'altro ho potuto accrescere le competenze  indispensabili per scelta che ho fatto da qualche anno, di  dedicarmi alla  formazione ed al coaching.

Ecco perche' con questo blog mi voglio confrontare con te ed allo stesso tempo voglio offrirti alcuni spunti e strumenti, che possano stimolarti a pensare a come approcciare il percorso di miglioramento della crescita,a semplificare i tuoi percorsi di apprendimento e ad affrontare con più  decisione e serenita' le tue abitudini quotidiane; sarei veramente appagato personalmente e professionalmente  se attraverso questi nostri incontri, riuscissi a farti fermare qualche minuto, da solo con te stesso per riuscire a farti riflettere, a sintonizzarti con te stesso e provare quel nuovo senso di rinnovata autoconsapevolezza.

Ti ho riservato parecchie sorprese nei blog che seguiranno che se vorrai  potranno accompagnarti nel tuo  percorso di miglioramento e crescita, sia personale che professionale, e che ci daranno l'opportunità' di confrontare le prove pratiche e tangibili degli  strumenti che ho potuto personalmente provare su me stesso; non e' solo teoria, pura didattica, chiacchiere, ma  cio' che ti proporrò' riguarderà  l'utilizzo di strumenti potenzianti che troveranno concretezza nelle soluzioni pratiche che potrai testare da te, attraverso le tue  azioni.
  
 che dici?

"le cose che contano di più' non devono essere alla merce' di cose che contano meno". GOETHE



lunedì 13 gennaio 2014

l'ascolto empatico

"Prima cerca di capire" e' il concetto che voglio comunicarti  in questo primo incontro nel quale provero' a trasmetterti  tutta la mia passione e' l'opinione che ho riguardo al modo  di comunicare  efficacemente.
Condivido con quelli che affermano che nella maggior parte dei casi noi non ascoltiamo con l'intento di capire, ma la nostra principale intenzione e' quella di rispondere; parliamo o ci prepariamo a parlare,  e spesso e volentieri , scambiamo il concetto di risposta con la  preoccupazione di trasferire nella vita degli altri la nostra autobiografia.
Una volta un amico mi racconto' del rapporto con la  prorpia figlia e mi disse :" Non riesco proprio a capire mia figlia, non mi vuole assolutamente ascoltare".
 "Sei certo che non ti capisca perché'  non ti ascolta?" riformulai! "Certamente" rispose deciso. "Beh, consentimi di ribadire" continuai, " non capisci tua figlia perché' non ti presta ascolto, vero? e' così?"
"e' proprio quello che ho detto!" esclamo'. " Io penso che per capire una persona occorra ascoltarla" ribadii.
 Lo vidi riflettere qualche istante e  subito dopo riprendere " si, ma io ci sono passato, so cosa sta provando, quale esperienza sta vivendo, ci sono passato anch'io ed alla sua eta' ci si comporta spesso così; non capisce perché non vuole dare ascolto, e' semplice."
Il mio amico non aveva la più' pallida idea di cosa succedesse nella testa di quella ragazzina, vedeva il suo mondo riflesso in quello della figlia; lo stesso succede spesso a tutti noi, vogliamo essere compresi pur avendo di fronte le nostre ragioni personali, le nostra note autobiografiche, trasformando i nostri pensieri in monologhi che non aprono a capire gli altri di fronte a noi.
E' proprio da qui che l'ascolto empatico ci da' l'opportunità' di prestare attenzione sull'energia che le parole ci trasmettono: occorre capire, comprendere, guardare attraverso l'altra persona, osservare il mondo nel modo in cui lo vede, cercando di capire cosa sta provando, cosa ci vuole trasmettere. L'ascolto empatico non significa necessariamente dichiarare di andare d'accordo con qualcuno, ma capirlo pienamente e profondamente sia dal punto di vista emotivo che da quello intellettuale.
Usiamo sia la parte destra del cervello che la sinistra; sentire, intuire, avvertire...col cuore.